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Immagine del redattoreVigevanoFutura

Sulle tracce del passato.

(di Paolo Romeo)



Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante ne sogni la tua filosofia. (W. Shakespeare)


L’ULTIMA ERA GLACIALE.


Il nostro viaggio non può iniziare se non dopo aver individuato alcuni fatti importanti verificatisi decine di migliaia di anni fa. Fatti che spiegano come mai, da un certo momento in poi, la nostra penisola, e quindi anche la pianura padana, sia diventata luogo ambito di approdo per diversi popoli e per diverse civiltà. L’area in sorgerà Vigevano è uno dei crocevia dei vari itinerari percorsi da chi entra in pianura padana, da nord-ovest e da ovest. Itinerari non casuali ma consolidatisi nel tempo, fin dalle epoche più remote e che nel tempo sono stati percorsi da eserciti possenti che in Lomellina hanno scatenato battaglie sanguinose o che passando per la Lomellina hanno invaso le terre d’Oltralpe. In questo viaggio cercheremo di capire come mai la Lomellina e, ovviamente Vigevano, si sono trovate lungo questi itinerari che qui si incrociano. Ormai è noto che il pianeta viene ciclicamente coinvolto in fasi di glaciazioni con temperature bassissime con conseguente raffreddamento dell’acqua seguite da fasi intermedie con innalzamento anche repentino di temperature e conseguente scioglimento dei ghiacci. Durante le fasi di raffreddamento le acque marine si abbassano mentre nelle fasi di riscaldamento il livello del mare si alza. Durante l’ultima glaciazione, conosciuta come glaciazione di Würm l’alto Adriatico era scomparso fin quasi ad Ancona e, al suo interno, il Po e l’Adige confluivano in un unico grande fiume (Fig. 1). Nell’immagine viene ricostruita (colore bianco trasparente) anche l’area alpina di massima estensione dei ghiacciai. Würm era il nome del fiume vicino a Monaco di Baviera riconosciuto come punto di massima estensione dell’area dei ghiacciai, verso il nord. Verso il sud i ghiacciai lambivano e talvolta superavano le attuali prealpi. Nell’immagine si vede anche il Ticino (colore celeste), alla sua uscita dal lago Maggiore all’epoca coperto dai ghiacciai.

(Fig. 1 - elaborazione dell’autore su immagine Google Earth)


Durante questa era glaciale, iniziata circa centomila anni fa e finita circa 14.500 anni fa, la calotta polare artica arrivava fino alla Gran Bretagna mentre nell’Europa continentale oltre i 400 metri di altitudine non cresceva nulla e vi era solo erba mentre nella pianura padana si alternavano foreste e acquitrini.


Naturalmente, nel corso di decine di migliaia d’anni, il clima poteva variare e infatti vi furono parentesi temporali di innalzamento della temperatura media e di abbassamento della stessa. Insomma non si trattava di un andamento costante ma era comunque un’era glaciale. A complicare le cose ci si mise anche una super eruzione vulcanica (si trattava del vulcano Toba, posto sull’isola di Sumatra) che circa 70.000 anni fa, diffondendo nell’atmosfera cenere e polveri vulcaniche in quantità tale da oscurare il sole, produsse un ulteriore e letale abbassamento medio della già bassa temperatura che portò l’uomo alla sua quasi totale estinzione. Si ritiene che fossero sopravvossute poche migliaia di essere umani che, in larga parte, per evitare l’estinzione si diressero verso il Mediterraneo, luogo in cui la temperatura era sicuramente meno rigida rispetto al resto del continente e le cui coste si popolarono di individui nuovi che andarono ad aggiungersi alle popolazioni locali. Si trattava di un esodo di popolazioni (sia pur ridotte nel numero) a livello continentale.


Non è sicuramente compito di questa serie di articoli ricostruire le vicende del continente né analizzare i grandi flussi migratori ma probabilmente è da quelle migrazioni – dettate dalla necessità di sopravvivere - che l’area mediterranea divenne l’area in cui l’incrocio e la concentrazione di popoli sfuggiti all’estinzione e portatori di culture, competenze e abitudini mescolandosi alle popolazioni locali avrebbero dato vita alle grandi civiltà dei secoli successivi. Nel Mediterraneo e nelle aree del Medio Oriente si mescolarono grandi competenze e grandi esperienze come la capacità di estrarre e lavorare i metalli, la conoscenza degli strumenti agricoli e di quelli militari, la capacità di costruire contesti sociali più ampi dei semplici villaggi e strategie militari in grado di dar vita a grandi conquiste dei territori limitrofi e lontani.


Tornando a noi, alla pianura padana, con l’inizio del disgelo e il conseguente progressivo scioglimento dei ghiacciai il livello delle acque marine e fluviali andavano aumentando. Il mare si alzò di circa 100 metri spingendo verso le zone asciutte, in particolare l’interno della pianura padana e di quella dell’Adige le popolazioni che vivevano nello spazio occupato oggi dal mare Adriatico, le popolazioni costiere e quelle che vivevano nelle aree collinari. Il progressivo rimboschimento di altitudini sempre maggiori dei pendii montani, prima limitato a quattrocento metri circa, spinse parte della popolazione a dar vita a villaggi sempre più in alto, nelle valli. Nel frattempo la portata dei laghi e dei fiumi aumentata considerevolmente e ampie aree della pianura venivano occupate da fiumi in piena, da laghi e da stagni oggi in parte scomparsi in modo naturale o grazie alle bonifiche romane prima e degli ordini monastici poi.


Il mondo delle paludi e dei grandi stagni e più in generale delle grandi distese d’acqua garantiva a chi sapeva starci secondo un modello organizzativo adeguato, sicurezza e capacità commerciali. Era forse questa l’epoca in cui si andava diffondendo una civiltà il cui nome basta a richiamarne la filosofia di vita: la civiltà delle TERRAMARE. Gente che organizzò la propria vita vivendo sulle palafitte e facendo del loro rapporto con le acque in un elemento caratteristico e caratterizzante.


Secondo la descrizione data dallo studioso Antonio Di Martino (“Le civiltà dell’Italia antica” – ed Mursia) i terramaricoli non praticavano, se non sporadicamente, la caccia e la pesca. Avevano un forte attaccamento al villaggio (il che li differenzia dalle civiltà itineranti) e avevano inoltre le idee chiare in fatto di “urbanistica”. Così scrive sempre Antonio Di Martino “La tipologia costruttiva del villaggio terramaricolo porterà il Pigorini (n.d.r. : esperto ricercatore sui terramaricoli) alla convinzione che la Roma quadrata di Romolo risentì certamente l’influsso della cultura delle terramare. Lo studioso italiano troverà rassomiglianze radicali tra l’arx terramaricolo e il capitolium romano, tra il pomerium identico a quello delle città laziali e l’impostazione del decumano e del cardo palatino con quello terramaricolo, fino a ritenere l’apporto delle terramare determinante per la stessa struttura urbanistica dell’antica Roma”.


Insediamenti importanti di palafitte sono stati trovati sotto il livello dell’acqua a Gravellona Toce (sul lago Maggiore) e sul lago di Viverone. E’ pensabile che ci fossero dei villaggi sulle attuali rive dei fiumi (peraltro coperte dall’acqua) e sopra le paludi formate dalle risorgive e dai numerosi torrenti e rogge in Lomellina?


ALL’ORIGINE DELLE STRADE.

Proviamo a immaginare la pianura padana dell’epoca. Quanto poteva essere facile orientarsi e attraversarla con tutte le paludi, foreste, acquitrini di varia natura, grandi e piccoli corsi d’acqua … eppure vi erano numerosi villaggi con abitudini e usi condivisi. Essi erano dunque collegati fra loro, anzi è possibile dire che si sviluppavano aree di civiltà specifiche.


Riti religiosi, modi di produrre, modi di vivere e modi di seppellire i defunti analoghi e modi di esprimersi condivisi. Tutto stava a dimostrare che questi villaggi e questi popoli erano collegati fra loro in modo costante e ripetuto, per cui gli itinerari degli uni erano noti agli altri e viceversa. Qual’era la logica dei loro insediamenti? Quali mappe seguivano per spostarsi, andare in un posto e tornare indietro? Abituati a spostarci lungo strade e autostrade, guardando le mappe o seguendo le indicazioni dei navigatori satellitari non abbiamo bisogno di tracciare strade nuove o di porci il problema di come raggiungere una località. Ma all’epoca il problema si poneva eccome.


L’acqua rappresentava di sicuro un primo elemento di cui tener conto. Che si tratti di fiumi, laghi, torrenti o mare l’acqua non rappresentava solo un elemento vitale ma anche l’itinerario naturale seguendo il quale si potevano raggiungere altre località. Ma l’uomo non si spostava solo lungo le rive ma anche all’interno delle foreste e dei boschi o lungo i pendii. In altre parole: come nacquero le strade che nel tempo l’uomo ha iniziato a percorrere per conquistare nuovi territori, costruire nuovi insediamenti, commerciare, approfondire le proprie conoscenze, eccetera?


Vi è uno splendido studio di Rodan, intitolato “Le strade preistoriche”, che racconta l’origine delle strade. Riassumo questo studio in tre brevi sintesi:


Le Vie dell’uomo del paleolitico: Fin dalla preistoria, il più importante indicatore della presenza umana in un territorio, furono le strade, perché sorsero prima degli abitati e sono rimaste, ricalcando i percorsi delle migrazioni degli animali.


Le Vie dell’uomo mesolitico: Nell’età mesolitica nasce la civiltà della “pastorizia”, che muta l’uso di “seguire” gli spostamenti degli animali, ed impara a “condurli” lungo percorsi scelti, in modo da non interferire con altri gruppi umani, di tribù rivali. La lunga ripetitività di questi percorso crea le prime vie di terra battuta, chiamate sentieri. La frequentazione continua e ripetitiva di questi lunghi percorsi, determina la formazione di punti di sosta costanti dove porre gli accampamenti di tende, per cui nascono i “bivacchi” che si fanno dove vi sono oasi o vengono scavati pozzi d’acqua, e questo fa nascere il concetto di proprietà e di ricchezza.


Le vie della transumanza: durante l’età mesolitica i popoli nomadi che si spostarono con le greggi trovarono abbondanza d’acqua e vegetazione, per cui mutarono i costumi dalla “pastorizia” all’”allevamento”, perché impararono la domesticazione degli animali più grandi, ed iniziarono le prime forme di residenza stabile, nei luoghi a clima temperato, con abbondanza di fiumi e di pascoli.


RICAPITOLANDO.


Gli animali, che si muovevano alla ricerca di cibo e di riparo tracciavano dei percorsi che i cacciatori impararono a seguire in modo metodico imparando a muoversi nel territorio avendo in mente degli itinerari, quelli tracciati dagli animali che divenivano loro prede in modo sistematico. La cosa garantiva ai cacciatori non solo la sicurezza del percorso (gli animali evitavano le paludi e le sabbie mobili e imparavano dove fossero i guadi) ma anche la continuità della cattura delle prede. Pertanto quegli itinerari vennero in qualche modo istituzionalizzati dai cacciatori che li difendevano dall’incursione di cacciatori estranei. Possiamo dire che fu un passo verso l’istituzione dei confini, ma ciò che più ci interessa è che con l’istituzione di villaggi e bivacchi lungo la strada, da semplice percorso fatto dagli animali la pista diventò un tracciato che univa diversi villaggi.


Quegli itinerari vennero trasmessi agli altri membri della comunità e ai figli in modo che anch’essi li potessero percorrere senza perdersi e in modo che a tutti fosse noto cosa c’era all’altro capo della pista.


E’ probabile infatti che antiche popolazioni, dopo aver trovato il luogo adatto per poter allevare gli animali (luoghi difendibili e con abbondanza di fiumi e di pascoli), abbiano cambiato la propria organizzazione economica e sociale trasformandosi da pastori ad allevatori e imparando a dar vita a piccole formazioni militari in grado di difendere l’insediamento e di difendere l’itinerario che conduce all’insediamento.


Numerosi episodi di Storia narrano di battaglie scatenatesi per difendere un corso d’acqua inteso come confine o come itinerario o semplicemente elemento di sopravvivenza. Sui corsi d’acqua sono stati edificati castelli per fare la guardia ai guadi o ai ponti. Attorno ai fiumi sono sorte città e lungo i fiumi sono sorte civiltà e si sono sviluppate economie e nazioni.


I FIUMI E LE CITTA’.


La grande presenza di fiumi e torrenti in Lomellina (e nel nostro territorio attraversato dal Ticino e dal Terdoppio), associata alla fine della glaciazione, rappresentava anche una grande presenza di possibili itinerari per gli uomini che fino ad allora abitavano in collina o in montagna e che venivano attirati dalle mandrie di animali e dalle maggiori possibilità offerte dalla pianura. Itinerari che, a loro volta, si incrociavano con quelli seguiti dalle mandrie, sempre in cerca di nuovi pascoli, per le quali l’attraversamento dei guadi dei fiumi rappresentava la norma. Ed ecco segnate altre piste e nuovi itinerari.


Ed è indubbio che i fiumi siano stati utilizzati come difesa, come rifornimento idrico, come strumenti di igienizzazione degli agglomerati urbani, come vie d’acqua e di terra da molti popoli che lungo le rive hanno fondato le proprie città. Spesso il nome della città è stato associato a quello del fiume, addirittura in qualche caso il nome della città indicava la posizione rispetto al fiume stesso. C’è, ad esempio, chi pensa che il nome Milano tragga origine dalla sua posizione mediana fra il Ticino e l’Adda. Verità o leggenda che sia resta il fatto che i fiumi hanno rivestito ovunque fondamentale importanza nella storia dell’uomo. I nostri fiumi di Lomellina non sono certamente da meno.


Itinerari fluviali.


A nord del Po il territorio lomellino è attraversato da numerose vie d’acqua: il Ticino, la Sesia, il Terdoppio, l’Agogna e l’Erbogne . Si tratta di corsi d’acqua che rappresentavano pratiche vie che collegavano lungo l’asse nord-sud i diversi villaggi sparsi in lomellina e territori posti a nord e a sud della Lomellina medesima. Il Ticino e la Sesia, ad esempio, collegavano la Lomellina alle alpi, alla Valsesia e tramite il lago Maggiore sia alla val d’Ossola sia, più a nord del lago, al massiccio del San Gottardo. Giunti al Po questi fiumi ne seguivano il corso fino all’Adriatico ma sulla riva destra del Po, a sud della Lomellina, arrivavano altri fiumi che provenivano dagli Appennini. Il Tanaro fra i maggiori ma anche fiumi minori e torrenti come la Staffora, seguendo la quale verso le vette dell’Appennino si percorre una delle “vie del Sale”, presente fra l’altro ancora oggi negli itinerari turistici. Via del Sale che significa giungere fino alle coste liguri. E abbiamo così disegnato un itinerario vitale per quei tempi.


Su wikipedia troviamo questa descrizione delle vie del Sale, che rende l’idea della loro importanza.


Le vie del sale erano gli antichi percorsi e rotte di navigazione utilizzati anticamente dai mercanti del sale marino. Non esisteva un'unica via del sale: i vari popoli (emiliani, lombardi, piemontesi, abruzzesi, friulani e siciliani) avevano ognuno la propria rete di sentieri e collegamenti per portare le merci, principalmente lana e armi, verso il mare e recuperare lì il sale, allora prezioso per la conservazione degli alimenti nel lungo periodo. La produzione di formaggio e di insaccati, la conservazione della carne, del pesce e anche delle olive necessitavano di elevate quantità del pregiato elemento. Ma anche attività artigianali come la concia delle pelli e la tintura richiedevano l'uso di sale. Mettendo in comunicazione la pianura padana con la Liguria o i territori francesi della Provenza si permetteva il commercio di questo materiale prezioso, che era di difficoltoso reperimento nelle regioni del Settentrione, lontane dal mare. Lo stesso dicasi per il commercio in altre regioni, o aree geografiche, tra le coste ove il sale era prodotto e le zone interne dove il bene era richiesto.”


All’epoca, infatti, il sale rappresentava un elemento fondamentale nella conservazione dei cibi, nella concia delle pelli e in tante altre attività importanti. Le “vie del sale” rappresentavano pertanto percorsi vitali ed è facile immaginare, in questo contesto, l’importanza di un percorso che iniziando sulle Alpi (ad esempio nella zona del lago Maggiore) conducesse alla costa ligure. Tale era il percorso che costeggiando il Ticino riprendeva dove la Staffora sfociava nel Po e dopo aver superato Varzi proseguiva fino all’interno dei monti liguri per poi discendere sul versante meridionale verso Chiavari, Genova o altri posti abitati fin dalla più remota antichità dalle genti liguri.


Lungo l’asse est-ovest invece le piste erano prevalentemente quelle inizialmente disegnate dalle mandrie che si spostavano di guado un guado e successivamente dalle popolazioni umane che dopo averle consolidate commerciavano fra aree lontane poste nelle attuali Lombardia e Piemonte. Erano popoli che si conoscevano, probabilmente avevano anche combattuto fra di loro. Se dovessimo dar retta al racconto di Tito Livio sulla calata di Belloveso in pianura padana e sulla fondazione di Milano, pare che parte degli invasori, proveniente da un’area posta oltre la valle della Maurienne, verso Lione, giunta in quel di Milano al momento dello scontro riconobbe come già residente una popolazione che aveva origine nello stesso posto da cui provenivano loro. Ne parleremo un’altra volta, ciò che interessa al momento è segnalare che, vera o inventata che fosse, quell’invasione metteva in evidenza l’esistenza di un itinerario che dalle Alpi Cozie, probabilmente dalla Valsusa, conduceva verso Milano.


Ma è lungo l’asse nord-sud che possiamo maggiormente capire quale fosse la grande importanza del Ticino e, per farlo, dobbiamo compiere un piccolo passo in più e avvicinarci alle sue sorgenti.


L’AREA DEI QUATTRO FIUMI.


Abbiamo accennato al fatto che durante l’era glaciale, in particolare nei momenti più complicati (come quello creato dall’eruzione del vulcano Toba) intere popolazioni, per sopravvivere, migrarono verso le aree climaticamente più adatte a sopravvivere. Il Mediterraneo divenne così il crocevia di interi popoli che si stanziarono ovunque fosse loro possibile. Questa diventerà un’abitudine che avrebbe segnato la Storia della nostra penisola e della Lomellina in particolare. Parleremo anche della Sesia ma per ora limito il discorso al Ticino che, per quanto riguarda l’Italia, ha un ruolo del tutto particolare dovuto alla sua posizione geografica.


Esso nasce nella zona del passo del San Gottardo, in Svizzera, ma non è l’unico fiume (Fig. 2). In quella zona nascono altri fiumi di rilevante importanza per le popolazioni europee:


  • il Rodano che attraversa la Francia meridionale e che confluendo con la Saona traccia un’autentica autostrada primitiva che, conducendo al corso della Loira, consente di sviluppare percorsi fino all’oceano atlantico;


  • il Reno che attraversa la Germania e l’Olanda per poi gettarsi nel mare del Nord e che, anche attraverso la vicinanza fra i suoi affluenti e quelli del Danubio, consente di creare una ulteriore connessione con un altro fiume importantissimo, il Danubio che, attraversando l’Europa centrale, finisce nel mar Nero;


  • il Reuss, fiume svizzero che si getta nel Reno disegnando una strada alternativa per giungere a quel grande fiume.


Ad essi si aggiunge il Toce, che nasce nell’alta val Formazza a pochi passi dal massiccio del San Gottardo. Da qui percorre tutta la val d’Ossola e a Gravellona Toce sfocia nel lago Maggiore. Nell’area della foce sono stati trovati ampi resti di palafitte. Forse uno dei ritrovamenti maggiori nel genere.


(Fig. 2 - elaborazione dell’autore su immagine Google Earth)

Abbiamo così la situazione di un grande fiume italiano, il Ticino, che si getta nel principale fiume padano, il Po, che nasce in un’area (fig. 3) che in cui nascono oltre a due importanti fiumi locali (il Reuss e il Toce) altri due altri grandi fiumi europei, il Reno e il Rodano, che attraversano aree importanti lungo le quali troveremo popolazioni che faranno la storia antica e recente dell’Europa. Fiumi importanti lungo i quali nasceranno itinerari relativamente facili da percorrere che portano al mare del Nord, al mar Nero, all’oceano Atlantico e al Mediterraneo.


Difficile che possa sfuggire l’importanza strategica del Ticino per le popolazioni itineranti in Europa e in Italia fin dai tempi più antichi. Lo capirono gli Etruschi prima e lo capiranno i Romani poi.


(Fig. 3 - elaborazione dell’autore su immagine Google Earth)


Cito da wikipedia “Il Massiccio del San Gottardo (detto anche Catena Rotondo-Centrale-Piz Blas è un gruppo montuoso delle Alpi, appartenente alla sezione delle Alpi Lepontine. Si trova in Svizzera, alla congiunzione dei cantoni Vallese, Uri, Grigioni e Ticino. Prende il nome dal Passo del San Gottardo, posto al centro del massiccio.”


Le Alpi Lepontine prendono il nome dalla popolazione dei Leponzi. Gruppo di origine celtica secondo alcuni e celto-ligure secondo altri, i Leponzi rappresentano indubbiamente una delle popolazioni più importanti in quell’area nel momento storico (età del ferro) in cui si diffonde una delle “culture” più importanti dell’età del bronzo, scoperte in epoca abbastanza recente e in modo fortuito: la cultura di Golasecca (IX-IV secolo a.C.).


Ma se a nord del Ticino è forte e diffusa la presenza golasecchiana, a sud dove il Ticino e il Po si uniscono, è forte e diffusa la presenza ligure che nell’oltrepo pavese e alessandrino la fa da padrona. Non bastasse è l’epoca in cui se a est si era affermata la potenza insubre (quella di cui si narra fosse a capo Milano) a ovest verso le Alpi si affermava la potenza dei Cozii, una forte tribù celto-ligure che dominava le alpi Cozie e Marittime. Al centro di quest’area si colloca il nostro territorio, nel quale fin da allora la fa da padrona l’incrocio di diversi interessi e la mescolanza delle genti rendendo peculiare questo aspetto nei secoli successivi.


Giunti al termine di questa prima tappa vogliamo lasciarvi ricordando due aspetti che torneranno nelle tappe future:


  • Dal centro delle Alpi chi segue il Ticino, superato il lago Maggiore, va verso il Po e una volta giunto al Po si avvia verso il mare Adriatico da dove poi, navigando, può andare ovunque. Viceversa chi, provenendo dal Mar Adriatico seguisse il percorso del Ticino fino alle sue sorgenti vi troverebbe nuovi percorsi che conducono nelle ampie pianure francesi sino all’oceano Atlantico o verso il centro Europa fino al mar Nero o al mare del Nord;


  • Nei secoli precedenti l’espansione romana la pianura padana conobbe l’occupazione di un grande popolo: gli etruschi. A nord del Ticino le popolazioni celto-liguri dei Leponzi utilizzavano per scrivere in lingua celtica l’alfabeto etrusco. Forse la valle del Ticino era molto più di una semplice valle formata da un sia pur bellissimo fiume.

(Paolo Romeo)





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